> FocusUnimore > numero 4 maggio 2020

L’avvio della cosiddetta “fase 2” della emergenza pandemica determinata dal coronavirus presenta problematicità e pone interrogativi di complessa soluzione, che richiedono considerazioni approfondite e la ricerca di soluzioni non affrettate, all’altezza del governo di una situazione che resta comunque irta di difficoltà e insidie, in specie per chi ha la responsabilità di assicurare attività che impattano sulla vita di migliaia di persone.

Il Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) si è diffuso in modo estremamente rapido in tutto il mondo: dalle prime segnalazioni di casi di polmoniti anomale a Wuhan nella Cina centrale nel dicembre 2019, si è arrivati alla dichiarazione di pandemia da parte della WHO l’11 marzo 2020. Ad oggi si stimano circa 3.500.000 di casi diagnosticati in oltre 200 nazioni (ma il numero reale di persone infettate è verosimilmente molto superiore). In Italia i casi hanno superato il numero di 210.000 mentre i decessi hanno raggiunto la soglia dei 28.000, e la nostra Regione, l’Emilia -Romagna, è, purtroppo, tra le più colpite. Questo ha imposto l’adozione di una serie di misure importanti restrittive a numerose attività, inclusa la sospensione di quelle didattiche nelle università.

L’attuale riduzione del contagio sta però aprendo la via ad una progressiva ripresa delle attività, la “fase 2”, che va tuttavia organizzata in modo attento e graduale, e sempre garantendo un’adeguata prevenzione del rischio da infezione.

Per quanto riguarda le attività lavorative, incluse quelle in ambito universitario, le misure da attuare nella fase 2 sono essenzialmente quelle indicate nel DPCM del 26 aprile u.s. (ma la normativa è in continuo aggiornamento), considerando anche le indicazioni del “Documento tecnico-scientifico” dell’INAIL e del “Protocollo condiviso” con la parti sociali.

Le Università – avverte il professor Fabriziomaria Gobba, ordinario di Medicina del Lavoro – sono strutture articolate e complesse le cui attività, secondo una classificazione generale che, pur schematizzata, si presta sufficientemente ai nostri scopi, sono di tipo didattico, di ricerca ed organizzativo. I rischi connessi con lo svolgimento di queste attività sono estremamente vari e, in qualche caso, anche di difficile valutazione, ma in questo momento ci limiteremo ad affrontare il problema del rischio da COVID-19 (va tuttavia tenuto presente che le misure di prevenzione devono necessariamente tenere in considerazione anche gli altri rischi)”.

Nelle attività dell’Università sono coinvolti, a diverso titolo e con modalità anche molto differenti, migliaia di persone, docenti, personale tecnico-amministrativo, studenti, specializzandi, borsisti, assegnisti, dottorandi, co.co.co ed altri; in questo caso, però, una semplificazione è del tutto giustificata: la necessità di misure per la prevenzione dei rischi connessi alle attività svolte, incluso quello di infezione da SARS-CoV-2, riguarda tutte queste figure, indipendentemente dal ruolo.

Un ulteriore aspetto da considerare è che le attività delle università sono svolte usualmente in ambiti sia non sanitari che sanitari, e quindi, nella “classificazione di rischio” prevista nel Documento tecnico scientifico INAIL, l’Università rientra sia tra le attività a rischio “medio-basso” previste per la Istruzione, che tra quelle di rischio “alto” per la Sanità.

Lo stesso documento schematizza le misure da attuare per la prevenzione del rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro in misure organizzative, misure di prevenzione e protezione e misure specifiche per la prevenzione dell’attivazione di focolai epidemici.

Le prime sono interventi di prevenzione primaria volti all’eliminazione/minimizzazione del rischio, e si basano su un’attenta riorganizzazione delle attività mirata, ad esempio, a evitare quelle in presenza, ad esempio mediante modalità di lavoro a distanza. Un significativo esempio è la didattica frontale che nelle università del nostro Paese, e nel mondo, è attualmente svolta essenzialmente con modalità a distanza cheverrà mantenuta per tutta la fase 2.

Per le altre attività, ad es. in ambito didattico di tirocinio, di ricerca ed amministrativo, vanno comunque minimizzate e programmate le presenze in contemporanea, anche mediante orari di entrata e uscita scaglionati ed una rimodulazione degli spazi e delle postazioni che consenta un distanziamento tra gli operatori, o tra operatori e utenti esterni, eventualmente anche mediante la introduzione di schermi di separazione.

Tra le misure di prevenzione e protezione rientrano quelle igieniche e di sanificazione, e la introduzione, corretto uso e smaltimento delle mascherine e dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Queste misure sono da definire in funzione delle attività svolte e sulla base di una valutazione del rischio specifico (ad es. sono potenzialmente molto diverse le attività in ambito sanitario e non sanitario), seguendo i criteri forniti dal Ministero della Salute e dall’ISS (e anche dalla WHO, ECDC e CDC). L’uso di protezioni delle vie respiratorie è comunque obbligatorio se non è possibile garantire il distanziamento interpersonale e nei luoghi chiusi nei quali debba esserci accesso di pubblico. È poi sempre necessaria, e per tutti, un’adeguata informazione e formazione sul rischio e sulle misure di prevenzione necessarie, che dev’essere contestualizzata ed adattata alle attività effettivamente svolte. Tra queste misure rientra poi anche la sorveglianza sanitaria, che dev’essere effettuata dal medico competente al quale, peraltro, il Testo Unico attribuisce un ruolo centrale per tutti gli aspetti medici, ad es. in questo caso la delicata identificazione e gestione dei lavoratori “fragili”, ed una partecipazione a varie attività, inclusa la valutazione del rischio e la definizione delle misure di prevenzione necessarie.

Infine, tra le misure specifiche per la prevenzione dell’attivazione di focolai epidemici rientra la creazione di procedure nel caso di lavoratori con sintomi compatibili con COVID 19, dalla gestione delle persone ed eventuale identificazione dei possibili contatti, alle conseguenti misure specifiche necessarie.

La organizzazione della “fase 2” nelle attività lavorative, ed in particolare nelle Università, – conclude Gobbadi cui abbiamo delineato le principali linee generali, è certamente complessa, difficile e delicata, e presuppone un significativo impegno ed il contributo a vario titolo di tutte le figure interessate, ma è anche importantissima in quanto costituisce una componente decisiva sia per la interruzione della diffusione del contagio che per la ripresa, certamente non meno essenziale”.  

Il valore di una esperienza per meglio affrontare la Fase 2: contributo del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’AUSL di Reggio Emilia

Già dal mese di febbraio si era intuito che l’emergenza da coronavirus che avremmo affrontato presentava le stesse difficoltà di una scalata di 6° grado con squadre che effettuavano in continuazione tamponi ai sospetti casi per la ricerca dell’RNA virale e personale impegnato nelle inchieste, sorveglianze di casi e ricerche di contatti stretti.
Nel mese di aprile erano al limite delle nostre possibilità con schierati al campo base 250 professionisti, compresi specializzandi/e, allievi/e tirocinanti, suddivisi in 25 team per gestire le telefonate di oltre 8.000 persone in isolamento domiciliare con centinaia di nuovi casi al giorno e con personale impegnato in turni al limite e una sensazione di impreparazione a gestire una complessità di questa portata.
Ora, dopo la prima settimana di maggio, con 27.000 tamponi eseguiti, 8000 casi positivi e più di 10000 contatti telefonici effettuati e più di 530 decessi, fortunatamente questa situazione è radicalmente cambiata. È cominciata la “fase 2”, con pochi nuovi casi giornalieri e un numero di persone impegnate e formate che progressivamente liberiamo ma pronti a rimetterle in capo se dovesse subentrare una seconda ondata di contagi.
Questa esperienza ci ha insegnato alcune cose:

1 – Il concetto di prevenzione (anticipare, venire prima) e quindi dell’importanza dei servizi territoriali nelle nostre organizzazioni e nel sistema delle politiche per la salute deve diventare un “valore condiviso”;

2 – è necessario un piano per affrontare queste epidemie e un addestramento periodico degli operatori per garantire tempestività, efficacia ed efficienza ed una stretta collaborazione/coordinamento tra servizi territoriali e ospedalieri;

3 – è fondamentale l’esperienza sul campo dei neo laureati/e, anche se difficile per l’impegno psicofisico richiesto, anche perché i giovani e le giovani medici, i tirocinanti e le tirocinanti TDP, le allieve infermiere e gli allievi infermieri rappresentano il futuro delle nostre organizzazioni; questa esperienza sarà per loro una lezione di vita e di solidarietà che renderà tutti migliori, eticamente preparati, con qualche ferita da guarire e qualche cicatrice ma certamente con una grande preparazione per affrontare il futuro;

4 – infine, la necessità di applicare indiscriminatamente tutte quelle norme di prevenzione che i Dipartimenti di Sanità Pubblica sostengono in queste situazioni a tutela del benessere di tutti e tutte.

“Fase 2” e Unimore: una riorganizzazione che garantisca prevenzione del rischio da infezione