> FocusUnimore > numero 18 – agosto 2021

Carlo Adolfo Porro
Rettore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia,

Sin dall’inizio della pandemia il nostro Ateneo è stato costantemente impegnato non solo nell’assicurare la prosecuzione di tutte le sue attività, ma anche nel mettere a disposizione della collettività ricerche, studi, iniziative al fine di offrire risposte articolate alle principali domande generate dalla pandemia, di riflettere criticamente sulla formulazione stessa di queste domande, di collaborare cioè all’identificazione dei problemi e alla gestione della complessità del contesto emergenziale, sempre in stretto dialogo con tutte le realtà istituzionali[1].

Costanti sono stati il lavoro e la ricerca di soluzioni a problemi organizzativi dettati dalla diffusione del virus, ma anche l’attività di comunicazione per contrastarla e prevenirla, sempre con lo sguardo volto ad andare “oltre l’emergenza”.

Il nostro Ateneo – così come tutti gli Atenei del paese – ribadisce con forza il primato della scienza e si è caratterizzato per un approccio volto a far dialogare le tantissime competenze maturate e radicate nelle sue diverse strutture dipartimentali e di ricerca.

Fare sistema, non rassegnarsi nelle fasi più difficili, non lasciare spazio alle polemiche ma lavorare sodo per proseguire nel miglior modo possibile le missioni dell’accademia – formazione, ricerca, interazione con il territorio, anche in termini di promozione della funzione sociale dell’università – è stata la nostra stella polare.

Per assolvere a questi compiti, non semplici, è necessario individuare precise priorità e saperle modulare anche nell’ambito di mutamenti, fasi, contesti in trasformazione, connettendo piani e azioni su più livelli, considerandoli tutti nella loro rilevanza.

All’interno di un contesto pandemico ciò che rappresenta l’assoluta priorità è la protezione e la tutela della salute e della vita, a cui si collegano poi tutte le altre attività.

Abbiamo pertanto auspicato da subito di addivenire ad una protezione alta contro il virus.

Ciò è ora possibile e perseguibile grazie a diverse modalità: la mascherina chirurgica è una di queste, anche da vaccinati e lo sono le misure di controllo come quella del certificato verde (green pass). Aspetto cruciale – entro questo approccio essenziale – è il vaccino: la campagna vaccinale in corso è una vera e propria missione nazionale, europea, mondiale, a salvaguardia della salute di tutti e tutte.

A tal proposito le vaccinazioni stanno dimostrando un’altissima copertura anche contro la “variante Delta” e questo vale anche per i casi in cui, pur da vaccinati, si contrae il virus.

Premesso che è molto meno frequente che una persona si infetti dopo essersi vaccinata, anche se fosse ciò rappresenterebbe un pericolo minore per gli altri: la capacità che questa ha di trasmettere il virus è inferiore, rispetto a chi contrae il virus senza essersi vaccinato. I dati scientifici questo ci dicono.

La prevenzione e il contrasto rispetto al virus rappresentano, pertanto, non solo un compito individuale ma anche uno sforzo collettivo, che necessita di essere promosso e orientato dalle istituzioni pubbliche e tra queste certamente anche dall’Università.

Da un’angolazione prettamente giuridica, il nostro ordinamento – ce lo insegna da tempo la Corte costituzionale – non consente di individuare diritti che possano prevalere sugli altri: tutte le libertà riconosciute dalla Costituzione devono essere bilanciate tra loro.

Così anche il green pass limita, certo, la libertà di circolazione e, per certi versi, quella di iniziativa economica, ma questo non significa – come erroneamente sostengono alcuni – che sia “illegittimo”, anzi esso rappresenta proprio il mezzo per realizzare un bilanciamento tra interessi diversi che possono essere anche contrapposti.

Da un lato, infatti, assicura un più ampio esercizio dei propri diritti a chi può dimostrare di non porre a (grave) rischio la salute altrui e, d’altro lato, limita la stessa possibilità per chi invece liberamente decida di non fare ricorso a vaccini o tamponi, perché in questo caso non è possibile scongiurare il pericolo per la salute degli altri.

Del resto, l’art. 16 della Costituzione precisa che la libertà di circolazione può essere limitata con legge (il che significa: atto con “forza di legge”, quindi anche un decreto-legge governativo, salva la necessità della sua conversione da parte delle Camere) per motivi sanitari, così come l’art. 32 riconosce e tutela la salute non solo come diritto del singolo individuo, ma anche come interesse della collettività, a tal fine consentendo anche trattamenti sanitari obbligatori.

Tra l’altro, il green pass – rispetto al quale il DL 6 agosto 2021 lascia agli atenei libertà sulla modalità di controllo, ma non di scegliere se effettuarlo o no – non può essere interpretato come un surrettizio mezzo per indurre tutti a vaccinarsi, introducendo indirettamente un obbligo in tal senso, come dimostra, tra l’altro, il fatto che può essere ottenuto anche semplicemente con un tampone.

Ma pure un eventuale vero e proprio obbligo vaccinale non risulterebbe in contrasto con la Costituzione perché sarebbero rispettati tutti i requisiti che la Corte costituzionale nel corso degli anni ha elaborato per verificare il rispetto dell’art. 32.

In particolare, non ci sarebbe nessuna violazione dei limiti imposti dal rispetto della persona, formulazione che fu scritta, per intenderci, pensando alle sperimentazioni dei medici nazisti e alle pratiche eugenetiche; nel nostro caso, al contrario, si avrebbe un beneficio per la salute sia della persona interessata sia della collettività, grazie ad un trattamento sanitario, la cui efficacia è scientificamente dimostrata e avvalorata dai dati che ogni giorno sono diffusi sull’andamento di contagi e ricoveri.

Ecco perché – e questi sono aspetti assai rilevanti – non solo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già respinto alcuni ricorsi contro obblighi vaccinali di determinate categorie, ma anche la legittimità del green pass è stata riconosciuta da Corti costituzionali straniere, come il Conseil constitutionnel francese.

Non è un caso, perciò, che anche le prime pronunce dei giudici nazionali (sia come giudici del lavoro sia come TAR) abbiano sin qui sempre avvalorato gli atti normativi e i provvedimenti assunti sul punto.

Il certificato verde è, insieme ad altri accorgimenti ormai consolidati, uno strumento importante al fine di consentire, in sicurezza, la ripresa della didattica in presenza che abbiamo voluto per tutti i Corsi per precise ragioni. Le attività fondamentali dell’università, le sue “missioni” – didattica-ricerca-terza missione e ricerca-azione-formazione – possono essere svolte al meglio all’interno di una comunità, con componenti e funzioni molteplici e integrate, necessariamente basata sulla presenza e sulla compresenza di corpi e linguaggi (mediatori ineludibili), pur sfruttando tutte le potenzialità della didattica e dell’interazione a distanza.

Da questo punto di vista, occorre recuperare e, al contempo, innovare una prospettiva curricolare organica che –  nel contributo fornito alla formazione iniziale ma anche in servizio delle figure professionali  –  valorizzi gli effetti formativi delle singole discipline e dei loro assetti (irrinunciabilmente bisognosi di forme di esperienza in presenza) nei differenti corsi di studio (insegnamenti, laboratori e tirocini).

Tutto questo deve avvenire secondo una responsabilità educativa volta alla prevenzione e alla previsione: aspetti, questi, che ci richiamano a una necessaria coerenza tra fini e mezzi dell’educazione e dell’istruzione: nessun mezzo è neutrale mentre educa a un preciso modo di pensare, sentire e agire la realtà, assegnandoci la responsabilità della scelta, appunto, dei mezzi.

Ci sta a cuore l’università come luogo propulsore e presidio di democrazia cognitiva e sociale, animata non da singoli individui consumatori e fruitori ma da soggetti in relazione, cittadini e cittadine responsabili e attivi.

Per queste ragioni siamo impegnati nell’assicurare che, nella massima sicurezza, persone, menti, affetti, saperi e culture possano stare in contatto e “co-costruire” pensieri ed emozioni, motivazioni ed etiche, discorsi e pratiche, immaginari e azioni.

Del resto l’acquisizione e la co-costruzione consapevole dei saperi, ciò che dà corpo e forma alla cultura, è   – prima di tutto –  pratica di cura responsabile: di sé, degli altri e del mondo.

Con questo spirito auguro di cuore un buon Anno Accademico 2021/2022.


[1] Un quadro d’insieme delle ricerche, delle attività e dei progetti maturati e sviluppati in tutti gli ambiti disciplinari emerge dalla specifica sezione del sito di Ateneo dedicata al Covid-19 che in tutti questi mesi è stata costantemente aggiornata: https://www.unimore.it/covid19/

Oltre l’emergenza. Unimore e le strategie per realizzare le sue “missioni”