> FocusUnimore > numero 5 – giugno 2020

Il minore impiego di materie plastiche, le tecnologie di fabbricazione additiva ed i materiali innovativi sono aspetti decisivi per conseguire uno sviluppo sostenibile e sono, da tempo, al centro della ricerca che si conduce in Unimore.

Da diversi anni, nell’opinione pubblica, il termine “plastica” viene spesso associato all’inquinamento di mari e oceani, all’impatto che questo provoca sulla fauna e conseguentemente sulla salute degli uomini. Pertanto è sempre più frequente imbattersi in una generale richiesta di ridurre se non addirittura eliminare la plastica dalle nostre vite quotidiane.

Naturalmente si tratta di una richiesta che si scontra con abitudini di vita e di consumo talmente consolidate che sono sufficienti pochi numeri per inquadrare la tematica.

Limitandosi al solo mercato europeo (che peraltro rappresenta non più del 20% di quello mondiale), oltre cinquanta milioni di tonnellate di materie plastiche vengono annualmente trasformate in semilavorati e manufatti che trovano applicazione in diversi settori, principalmente imballaggio, edilizia e costruzioni, ma anche automotive, elettrico/elettronico e altri ancora.

Plastica è un termine molto generale che racchiude un gran numero di materiali (polimerici) progettati e realizzati per rispondere alle esigenze tecniche più svariate. Al di là della specifica composizione chimica, le materie plastiche possono essere prodotte sia a partire da risorse di origine fossile (petrolio e gas) sia da fonti rinnovabili (ad esempio zucchero di canna, amidi, oli vegetali, ecc.). A prescindere dalla fonte rinnovabile o fossile, alcune materie plastiche possono essere biodegradabili. È importante rimarcare il fatto che la stragrande maggioranza delle plastiche attualmente in uso è di origine fossile e una loro sostituzione con materie plastiche da risorse rinnovabili e/o biodegradabili è di complessa e difficile traduzione pratica, oltre che irragionevole nel breve e medio periodo.

La strada oggi più praticabile è quindi quella della riduzione degli sprechi, della valorizzazione degli scarti e dei rifiuti, senza naturalmente dimenticare lo sviluppo sempre più spinto di materie plastiche ottenute da fonti rinnovabili (bioplastiche).

Da questo punto di vista, il concetto di economia circolare si sta facendo strada negli ultimi anni come modello alternativo in termini di sostenibilità rispetto all’economia lineare tradizionale. Quest’ultimo modello segue il percorso di produzione, utilizzo e smaltimento, mentre nell’ambito dell’economia di tipo circolare le risorse vengono sfruttate per il più lungo tempo possibile, sfruttandone al massimo il valore durante l’impiego, e successivamente recuperando e rigenerando i materiali al termine della loro vita di uso.

Il riutilizzo di sfridi e scarti di lavorazione all’interno dei medesimi processi produttivi è uno standard consolidato mentre molto si è fatto e si sta facendo per quello che riguarda il riciclo e la termovalorizzazione di manufatti in plastica giunti a fine vita d’uso.

Sempre riferendosi alla sola area europea, oltre venti milioni di tonnellate annualmente vengono riciclate o utilizzate per la generazione di energia elettrica, con un significativo aumento nell’ultimo decennio (+100%) a discapito del tradizionale smaltimento in discarica.

Importante infine sottolineare che le materie plastiche offrono un contributo significativo all’economia circolare valutandone la sostenibilità per l’intero ciclo di vita piuttosto che sulla semplice analisi sull’efficienza delle risorse solamente al termine della vita di un prodotto.

Oltre ai materiali, anche le tecnologie di trasformazione possono giocare un ruolo importante sulla sostenibilità. Fra queste, le tecnologie di fabbricazione additiva (additive manufacturing, AM) stanno sicuramente sollevando un notevole interesse anche da un punto di vista industriale.

Utile ricordare che per AM si intendono quelle tecnologie che, a partire da un modello digitale 3D, costruiscono il manufatto tridimensionale apportando materiale strato per strato, in contrasto con le tecnologie di fabbricazione tradizionali che realizzano il manufatto per asportazione di materiale a partire da un semilavorato.

I principali punti di forza delle tecnologie AM sono rappresentati dalla enorme libertà di progettazione e dalla possibilità di fabbricazione del manufatto senza la produzione di sfridi di lavorazione (a onor del vero, elementi di supporto del pezzo possono comunque essere richiesti in diversi casi anche nel caso AM).

Vale la pena di osservare che le tecnologie AM non sono da considerare in competizione con processi di fabbricazione tradizionali per la realizzazione di oggetti con geometrie anche complesse come ad esempio lo stampaggio a iniezione, soprattutto per quanto riguarda gli ineguagliabili livelli di produttività raggiungibili in quest’ultimo caso. Al contrario, le tecnologie AM possono aprire, e in alcuni casi stanno già aprendo – come sta mettendo in evidenza l’emergenza sanitaria COVID-19 – la possibilità di realizzare lotti produttivi medio-piccoli attualmente non sostenibili economicamente con un approccio tradizionale.

Da questo punto di vista lo sviluppo e le applicazioni di tecnologie AM basate su materie plastiche deve andare di pari passo alla messa a disposizione di materiali polimerici innovativi, progettati e sviluppati sia in funzione delle tecnologie innovative sia di analisi di sostenibilità legata a un approccio di economia circolare.

“Man mano che le stampanti 3D saranno in grado di stampare di tutto, questa tecnologia entrerà sempre di più nella nostra vita e in molti settori industriali”.  Questa citazione del World Economic Forum e molti altri studi sia accademici sia di soggetti economici privati evidenziano il potenziale della tecnologia di stampa 3D (manifattura additiva) negli anni a venire, portando anche molti spunti di riflessione sulle criticità attuali della sua applicazione, in primis la mancanza dei materiali. 

Da una ricerca svolta da Covestro (Bayer) il mercato dispone oggi di solo 30 materiali per la stampa 3D rispetto agli oltre 3000 per la manifattura tradizionale, e questo solo nel settore delle materie plastiche.

È da questa premessa che nel 2017 è stata fondata MAT3D, spin-off inter-universitaria (Università di Modena e Reggio Emilia e Università di Parma) che sviluppa e produce materiali innovativi per la fabbricazione additiva e cura la loro applicazione e/o sviluppo nella manifattura tradizionale. 

Le competenze del team coprono tutti gli ambiti del processo di produzione ovvero i materiali, la loro formulazione, la fabbricazione additiva e la sua applicazione nella manifattura tradizionale. 

I prodotti formulati da MAT3D sono principalmente resine fotosensibili con caratteristiche termo-meccaniche avanzate, che coprono ampie merceologie di mercato: da quello automotive, agli impianti per il packaging, al biomedicale fino al manifatturiero tradizionale.

Nella compagine sociale della start-up sono presenti quattro soci operativi Giampaolo Melli (Responsabile vendite e operations), Prof.ssa Federica Bondioli (PoliTO), il prof. Massimo Messori(Unimore) e Chiara Manicardi (Responsabile Business Development) e i due atenei UNIMORE e UNIPR, oltre a NextUp e Progress Tech Transfer, fondo di investimento lanciato da MITO Technology e dedicato alla valorizzazione delle tecnologie nel campo della sostenibilità.

Unimore è inoltre presente nel CdA di MAT3D con la Prof.ssa Elisabetta Gualandri.

Plastica e sostenibilità. La sfida culturale e tecnologica per la riduzione del consumo di plastica