> FocusUnimore > numero 10 – dicembre 2020

La “comunicazione della scienza” passa anche attraverso la capacità di recuperare, rendere attuale e fruibile a tutti il prezioso materiale storico-scientifico ereditato nel tempo, di cui l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia è depositario.

Ne è un esempio il lavoro svolto dal Prof. Mauro Mandrioli sulla figura storica del naturalista Daniele Rosa, nato nell’ambito di un progetto di terza missione del Dipartimento di Scienze della Vita (DSV), ma che poi ha visto coinvolgere anche altri attori: il Dipartimento di Educazione e Scienze Umane (DESU) ed il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali (DSLC), l’Accademia Nazionale diScienze, Lettere e Arti di Modena e a cui presto si aggiungerà il Museo Civico di Storia Naturale di Torino.

Si è in tal modo realizzato un circolo perfetto che mette insieme competenze diverse e complementari. Nato inizialmente per valorizzare il fondo storico sia librario sia di miscellanea del DSV e renderlo fruibile a tutti tramite la digitalizzazione, il progetto è andato ben oltre questo lodevole intento.

La finalità non è più soltanto quella di rendere disponibile alla comunità scientifica un patrimonio documentale che altrimenti rimarrebbe sepolto in qualche sottoscala dell’ateneo, bensì quello di usare uno degli autori presenti in questa raccolta, appunto il naturalista Daniele Rosa, come occasione per costruire un progetto di science public history.

La public history usa i metodi, gli strumenti e i materiali della disciplina storica, ma anziché proporre un’analisi di tipo top-down, rende disponibili le fonti perché possano essere fruibili da chiunque, e affinché chiunque ne abbia gli strumenti culturali e le competenze, possa proporre analisi e riletture di quel materiale.

La figura di Rosa è particolarmente interessante da questo punto di vista: il naturalista di origine torinese lavora a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi quaranta anni del Novecento: un arco temporale in cui certamente si colloca uno snodo cruciale per le scienze della vita. È in questa fase storica che si forma il paradigma culturale della biologia moderna: nascono in quegli anni la genetica classica, vengono recuperati i lavori di Mendel, è elaborata la Sintesi Moderna della teoria dell’evoluzione, si forma la biologia dello sviluppo come disciplina a sé stante.

La riproposizione del lavoro di Rosa permette di avere un interessante spaccato di quel mondo, e di far comprendere al grande pubblico come nasce una teoria scientifica, come si evolve, e mostrare da un lato come lavorano e si confrontano gli scienziati, e dall’altro che, sebbene non ci sia sempre unanime consenso all’interno della comunità scientifica, questo non rappresenti un vulnus, poiché fa parte della normale dinamica dell’evoluzione stessa di una teoria.

Paradigmatici, da questo punto, di vista sono alcuni articoli scritti da Rosa, nel quale si coglie molto bene come anche una persona molto brillante e di ampie vedute possa prendere vere e proprie “cantonate”.

In uno di essi, Rosa afferma che la “cromatina” – concetto di base della biologia, noto a qualunque studente di scuola superiore – era secondo lui una “sciocchezza sesquipedale che solo degli ingenui potevano ritenere vera”.

In un altro bellissimo scritto Rosa discute in maniera acuta di quella che oggi qualunque scienziato chiamerebbe “variabilità genetica”; eppure alla fine dell’articolo lo stesso Rosa tiene a sottolineare che non sta affatto parlando di variabilità genetica, e che “a nessuno venga in mente di dire che Daniele Rosa sostiene l’esistenza della variabilità genetica!”.

Il progetto così descritto inizialmente prevedeva la messa a disposizione in forma digitale della sola produzione scientifica di Daniele Rosa.  

Questo lavoro iniziale ha visto successivamente il contributo dell’Accademia nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena che ha messo a disposizione del progetto l’epistolario di Rosa conservato nei propri archivi, un corpus di oltre 700 lettere che Rosa scambiava con i principali scienziati italiani e stranieri che si occupavano di questi temi all’epoca. La preziosa opera di digitalizzazione dell’epistolario è stata possibile grazie al lavoro di Vincenzo Negro. Se infatti gli articoli possono essere scansionati a media risoluzione, le lettere devono necessariamente essere digitalizzate ad alta risoluzione per rendere comprensibili e interpretabili testi scritti a mano.

L’epistolario di Rosa, che scambiava idee ed opinioni con scienziati del calibro di Laecker e Lombroso, permette di comprendere come nascono e si evolvono le idee, ma anche di avere uno spaccato della storia e cultura italiana di quel periodo. Molti degli allievi di Rosa vengono infatti reclutati nell’esercito durante la Prima guerra mondiale e gli scrivono dal fronte. Le lettere che Rosa e i suoi allievi-soldato si scambiano, e che il lavoro del Prof. Mandrioli sta rendendo disponibili alla comunità scientifica, offrono una visione singolare ed interessante di quel momento storico.  Da un lato, infatti, ci raccontano di soldati che mentre combattono al fronte non perdono la voglia di fare ricerca e si campionano materiale sul campo per futuri studi. Dall’altro lato, alcune lettere raccontano in maniera cruda la brutalità della guerra combattuta, la difficile situazione politica dell’immediato dopoguerra e tutta la fase di ripartenza della ricerca dopo il primo conflitto mondiale.

La lettura di questi documenti è però anche l’occasione per raccontare al grande pubblico, aldilà dei contenuti scientifici, l’idea stessa di scienza e la percezione che della scienza si aveva all’epoca. Traspare, infatti, dai testi e dalle lettere digitalizzate una fiducia nella scienza come strumento ineluttabile di progresso che avrebbe cambiato il nostro modo di vedere il mondo, e di viverlo, che cozza con la diffidenza verso la comunità scientifica che – talvolta – si percepisce oggi.

Infine, il lavoro del Prof. Mandrioli recupera, racconta e rende disponibile alla cittadinanza un periodo significativo della storia del nostro Ateneo. È infatti in quell’arco di tempo che vanno formandosi i musei universitari e da questo lavoro è derivata l’osservazione che proprio all’inizio del ‘900 il nostro museo di zoologia e anatomia comparata, che originariamente aveva un chiaro impianto evoluzionistico, è andato progressivamente convertendosi in una pura collezione ed esibizione di campioni.

A partire da questa considerazione, e grazie ad una collaborazione con la Prof.ssa Vallori Rasini e il Prof. Antonello La Vergata del DSLC, nonché con la Prof.ssa Antonella Ferretti del DSCG, è nata l’idea di sfruttare lo spostamento del museo dall’attuale sede alla futura sede presso AGO Modena Fabbriche culturali, negli Spazi del ex Ospedale civile Sant’Agostino per recuperare l’impianto originale del museo e restituirlo alla cittadinanza con la giusta prospettiva storica e scientifica. 

In questo quadro, la Prof. Tiziana Altiero del DESU metterà a disposizione le sue competenze pedagogiche, legate in particolare alla didattica della scienza, per mettere a punto un disegno del nuovo museo in questa prospettiva.

Si è dunque dinanzi ad un prezioso lavoro di collaborazione che, partito da un progetto del solo Prof. Mandrioli, mette oggi insieme competenze diverse per raccontare alla comunità non solo accademica, come nasce e si evolve un’idea scientifica.


Come un’idea di comunicazione della scienza diventa progetto di science public history: il Dip. di Scienze della vita e il caso degli studi riguardanti il naturalista Daniele Rosa