> FocusUnimore > numero 46 – aprile 2024

The ‘wage question’ in Italy and Europe: Unimore’s work as part of a major national study
The issue of the right to a fair and satisfactory wage, a prerequisite for reducing wage inequalities and achieving fair, inclusive and sustainable growth, has always been the focus of attention of labour law and labour economics experts. The topicality of the wage issue in Italy also stems from the need to comply with the European Directive No. 2022/2041 on the adequate minimum wage by 2024. Among the most recent scientific initiatives at the national level on this issue is the PRIN 2020 research project ‘Wage, law and collective bargaining in Italy and the European Union’ with the involvement among others of the Department of Law of the University of Modena and Reggio Emilia, which aims to investigate the Italian legal system on wages in the light of the two key issues emerging from the Directive, in particular the adequacy of wages in national contracts.

Il diritto a un salario equo e soddisfacente, in grado di assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, è riconosciuto quale diritto fondamentale sia a livello internazionale, nella Dichiarazione Universale di Diritti dell’Uomo (art. 23, par. 3), che a livello europeo, nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 31); in Italia, com’è noto, costituisce un diritto di rango costituzionale (art. 36 Cost., comma 1).

La garanzia di un salario minimo è un presupposto indispensabile per ridurre le disuguaglianze retributive e conseguire una crescita equa, inclusiva e sostenibile, promuovendo il progresso economico e sociale.

            Negli ultimi anni, tuttavia, il fenomeno dei c.d. contratti collettivi “pirata”, finalizzati a ridurre il costo del lavoro e a comprimere le tutele dei lavoratori, e il frequente ritardo nei rinnovi dei contratti collettivi nazionali, che faticano a sostenere il passo dell’incremento dell’inflazione, hanno dato nuova vitalità al dibattito politico-sindacale, oltre che accademico, sulla questione salariale.

            Il tema è da sempre oggetto dell’attenzione degli studiosi  e delle studiose di diritto del lavoro e di economia del lavoro, anche a causa della natura peculiare del regime giuridico dei salari in Italia: se, da un lato, infatti l’art. 36 Cost. rappresenta un baluardo per la tenuta dell’adeguatezza dei salari, d’altro lato, l’attuazione del principio costituzionale è stata tradizionalmente affidata alla contrattazione collettiva, per il tramite della giurisprudenza che ha appunto identificato il c.d. minimo costituzionale con il salario minimo stabilito dai contratti nazionali. Peraltro, tale sistema è stato di recente messo in crisi da una giurisprudenza della Corte di cassazione, che con sei decisioni dell’ottobre 2023 ha imposto la disapplicazione del CCNL servizi fiduciari-vigilanza privata, in quanto (pur essendo sottoscritto da CGIL, CISL e UIL) fissava salari troppo bassi e non conformi alla Costituzione.

            L’attualità della questione salariale discende anche dalla necessità di recepire in Italia entro il 2024 la Direttiva Europea n. 2022/2041 sul salario minimo adeguato. Si tratta di uno degli atti legislativi più importanti degli ultimi due decenni nel campo della politica sociale dell’UE, che segnala un cambio di prospettiva nelle politiche di livello euro-unitario: la direttiva infatti promuove la contrattazione collettiva a livello settoriale e intersettoriale quale importante fonte di regolazione dei salari, e non richiede come necessaria – sia pure a condizione che sussista un elevato grado di copertura contrattuale – la presenza di un salario minimo legale negli stati membri.

            Tra le più recenti iniziative scientifiche a livello nazionale in materia si inserisce il progetto di ricerca PRIN 2020 “Salario, legge e contrattazione collettiva in Italia e Unione europea” (Prot. 2020NR4WXW), coordinato dal Prof. Vincenzo Bavaro dell’Università di Bari, con il coinvolgimento del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dell’Università di Siena e dell’Università di Catania, nonché con la collaborazione del CNEL e della Direzione Generale Rapporti di Lavoro del Ministero del Lavoro.

La ricerca, che si concluderà entro la prima metà del 2025, si è posta sin da subito l’obiettivo di indagare il sistema giuridico salariale italiano alla luce delle due questioni chiave emergenti dalla Direttiva, ovvero l’adeguatezza salariale e la copertura contrattuale, nella consapevolezza della difficoltà di avere a disposizione dati chiari e attendibili sulla situazione salariale in Italia.

            Innanzitutto, sul piano della copertura contrattuale, è emersa l’eterogeneità delle fonti informative e statistiche prese in considerazione in sede scientifica e politica, tale da suscitare qualche perplessità sull’attendibilità dei dati ufficiali (da ultimo il controverso documento del CNEL del 12 ottobre 2023) che, basandosi sul flusso delle comunicazioni dei datori di lavoro all’INPS (Uniemens), indicano il tasso complessivo di copertura della contrattazione collettiva in misura prossima al 100%. Tale profilo è stato oggetto di un vaglio critico da parte dell’unità di ricerca senese.

Dal canto suo, l’unità di ricerca modenese, coordinata dal Prof. Alberto Tampieri, Ordinario di diritto del lavoro e composta, oltre che dal Prof. Giuseppe Pellacani, Ordinario di Diritto del Lavoro e dal Prof. Andrea Allamprese, Associato di diritto del lavoro, nonché dalla Dr.ssa Maria Barberio, Ricercatrice di Diritto del lavoro, e dalla Dott.ssa Federica Palmirotta, Assegnista di ricerca di Diritto del lavoro, si è occupata del tema dell’adeguatezza salariale nei contratti nazionali.

L’analisi fin qui svolta, con la collaborazione dell’unità di ricerca barese, ha riguardato i CCNL depositati nell’archivio CNEL relativamente a tre sottosettori, e cioè metalmeccanico, industria alimentare, logistica e trasporto merci.

Sono stati messi a confronto i livelli più alti e i livelli più bassi del trattamento salariale, prendendo in considerazione sia il trattamento minimo tabellare, sia il trattamento considerato dalla giurisprudenza italiana come “minimo costituzionale” e comparandoli al trattamento economico complessivo (TEC).

Da tale indagine è emersa un’articolazione variegata delle voci retributive, nonché una diversa incidenza delle stesse su alcune componenti della retribuzione, con conseguente mutevole incidenza sul TEC e un elevato rischio di compressione del minimo costituzionale.

            L’analisi sulla composizione del costo del lavoro si è arricchita anche di un focus, svolto dall’Università di Catania, sul sistema di regolazione degli appalti pubblici, segmento produttivo cui anche la Direttiva 2022/2041 dedica una norma specifica (art. 9) e che costituisce uno dei pochi nuclei normativi in cui la definizione del salario è attribuita in Italia alla fonte legislativa.

            Le fasi successive e conclusive della ricerca allargheranno ulteriormente il campo di indagine alla comparazione del sistema retributivo italiano con le principali esperienze dei paesi europei, al fine di avanzare proposte riguardo ai possibili interventi di trasposizione in Italia della Direttiva UE 2022/2041, che dovrà avvenire nel rispetto dell’art. 36 Cost., della giurisprudenza e delle parti sociali, tenendo infine in considerazione i disegni di legge sul salario minimo depositati in Parlamento nella scorsa e nell’attuale legislatura.

Le 150 ore retribuite per il diritto allo studio e l’Università di Modena (e Reggio Emilia): una storia da sapere.

Si racconta che più di cinquant’anni fa, durante uno dei tanti tavoli di confronto tra sindacati e associazioni datoriali che hanno preceduto uno storico Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl), il Ccnl dei metalmeccanici del 1973, un dirigente di Confindustria, disorientato dalla portata e dalla qualità delle richieste da parte sindacale in materia di diritto allo studio per i lavoratori, si rivolse ad un dirigente del sindacato dei metalmeccanici e con fare sarcastico gli chiese: “ma insomma, cosa volete? Volete forse che gli operai studino il clavicembalo?”. La risposta del dirigente sindacale fu netta: “Si!”.

Questo aneddoto, diventato famoso soprattutto nel mondo sindacale, in quello datoriale e tra gli studiosi e le studiose di relazioni industriali, riporta uno scambio di battute capace di rappresentare bene il clima in cui si è svolta quella fase contrattuale e il senso delle conquiste in quel periodo ottenute da lavoratori e lavoratrici.

In occasione del cinquantesimo anniversario del Contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici – che nel 1973 istituì, tra le altre cose, proprio le 150 ore retribuite per il diritto allo studio – lo scorso dicembre le Camere del Lavoro di Modena e di Reggio Emilia hanno promosso il convegno “Storie da sapere. Le 150 ore fra passato, presente e futuro”.

Il convegno si è svolto su due giornate: la prima dal taglio più accademico, a Modena, dedicata al tema “Il lavoro della formazione, la formazione del lavoro”; la seconda dal taglio più sindacale, a Reggio Emilia, sul tema “Saper contrattare il sapere”.

I luoghi dove si sono svolte le due giornate di convegno non sono casuali: le realtà sindacali di Modena e Reggio Emilia, insieme a quelle di Bologna, Torino e Brescia, hanno avuto un ruolo fondamentale nella nascita dell’istituito contrattuale delle 150 ore.

L’allora Università di Modena e, in particolare, la Facoltà di Economia e Commercio, è stata a sua volta parte attiva nella vicenda delle 150 ore e molti docenti modenesi contribuirono alla realizzazione dei corsi al punto che ancora oggi l’Ateneo è identificato come una delle sedi universitarie che ha maggiormente contribuito a quell’esperienza.

Nella mattinata della prima giornata il Prof. Lorenzo Bertucelli (DSLC, Università di Modena e Reggio Emilia), la Prof.ssa Monica Dati (Università di Firenze e autrice del libro “Quando gli operai volevano studiare il clavicembalo”), il Prof. Pietro Causarano (Università di Firenze), il Dott. Michele dal Lago (ricercatore) e il Dott. Alberto Baldasseroni (medico del lavoro) hanno inquadrato la questione delle 150 ore dal punto di vista storico, pedagogico e sociologico.

La sessione pomeridiana è stata invece dedicata al racconto di esperienze locali da parte di due testimoni diretti: il Prof. Riccardo Bellofiore (già docente dell’Università di Bergamo e attualmente docente contratto presso Unimore) e il Prof. Giovanni Bonifati (già docente presso il Dip. di Studi linguistici e culturali di Unimore).

L’intervento di Bonifati, in particolare, si è soffermato sul ruolo del gruppo di giovani docenti – che aveva pochi anni prima dato vita alla Facoltà di Economia e Commercio di Modena – nella vicenda delle 150 ore.

La seconda giornata, che, come già ricordato, ha avuto un carattere più sindacale e ha inteso riflettere sull’attualità del diritto alla formazione, ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Sergio Bologna (sociologo e storico del movimento operaio), Matteo Gaddi (Fondazione Claudio Sabattini) nonché della Prof.ssa Nadia Garbellini (docente di Istituzioni di Economia presso il Dip. di Studi linguistici e culturali di Unimore).

La due giorni ha contribuito ad una profonda riflessione sul senso delle 150 ore, su ciò che esse hanno rappresentato per l’emancipazione e la mobilità sociale di molti lavoratori e lavoratrici e sul ruolo che ha avuto l’università in questo percorso; ma si è trattato anche di un’occasione per riflettere sul presente del diritto allo studio, sul suo stato di salute e sulle continuità e discontinuità della situazione attuale rispetto a quell’esperienza.

La “questione salariale” in Italia e in Europa: il lavoro di Unimore all’interno di un’importante ricerca nazionale